Informazioni personali

La mia foto
AZUR è presente e attiva sul mercato da più di 35 anni. Situata tra le verdi vallate del Chianti, è una tra le maggiori aziende in Italia nel campo degli arredi per la Prima Infanzia. Realizzare cose belle, utili, che possano essere funzionali alle esigenze delle mamme e accogliere, in piena sicurezza e in grande armonia, i primi passi del bambino è la nostra mission. Creatività, artigianalità, amore per il bello. AZUR in questi anni ha raccolto le sfide di un mercato in continua evoluzione ed è cresciuta rinnovandosi continuamente e creando sempre nuove linee di prodotti. I prodotti a marchio AZUR e il “segreto” che li anima sono a disposizione nei 600 punti vendita sparsi sull’intero territorio nazionale. AZUR distribuisce i prodotti a marchio BEABA e BEBECAR sul territorio nazionale.

martedì 15 dicembre 2009

Educare ed educarsi attraverso lo sport _ parte II


Questo mese continuiamo  e pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Paolo Crepaz, iniziata il mese precedente. In questa porzione l’autore sottolineerà l’importanza dell’aspetto sociale nella pratica delo sport e di come quest’ultimo debba venir praticato nella verità, quella verità che scaturisce dall’amore verso l’altro.

TRA GIOCO E AGONISMO

Chi pratica lo sport non sempre si cura di percepire a pieno i valori e i significati del fatto sportivo: si gioca perché piace o conviene giocare, perché si sente l'esigenza di competere, senza porsi tante domande. Ma chi opera con intenzionalità educativa nel mondo sportivo, specie giovanile, sa che i due elementi essenziali dello sport - il gioco e l'agonismo - possono diventare tappe di partenza nello sviluppo integrale della persona.
Il gioco è rivincita dell'homo ludens sull'homo faber: restituire allo sport la sua ineludibile connotazione ludica e promuoverne la gratuità significa aiutare l'uomo a liberarsi dalla morsa dell'utilitarismo, dall' attaccamento idolatrico al lavoro, e, oltre tutto, a dispiegare le esigenze dello spirito. Favorire l'ingresso del gioco nelle pieghe dell'esistenza appare un aspetto non marginale per la realtà del mondo attuale.
È la dimensione agonistica del gioco e dello sport che spinge ad andare oltre i limiti delle prestazioni precedenti e a superare gli avversari. Ma solo una parte dell'agonismo si risolve nel lottare contro gli altri: l'altra, quella maggiore, consiste nel lottare contro i mille volti del negativo annidato nel cuore, come i raggiri per eludere le regole, i facili vittimismi, le aggressioni verbali verso gli antagonisti, le ribellioni alle decisioni arbitrali non condivise, il ricorso al doping, eccetera.
Lo slancio agonistico non educato porta alla ricerca del risultato a ogni costo, a cercare la vittoria come valore assoluto, a giocare "contro" anziché "con" gli avversari e persino a farli apparire come nemici. È estremamente provocatorio il fatto che il pensiero cristiano, a volte a torto interpretato come pensiero debole e accondiscendente, inviti a mete impegnative ed elevate. Eppure proprio questa indicazione può dare alla spinta agonistica il giusto orientamento: trasformarla da semplice ricerca di risultati tecnici, che pure bisogna tenacemente perseguire, a nostalgia di traguardi più lontani, sconosciuti a giudici di gara o tifosi. Gli orizzonti più ampi dello sviluppo integrale della propria persona, fino ad arrivare a scoprire il progetto di Dio nelle sfumature delle proprie esperienze ludiche, sportive e agonistiche, si possono dischiudere anche grazie alla attività fisica e sportiva.
Ecco perché dovrebbe scomparire una visione dello sport, specie in passato presente anche fra i cristiani, come semplice passatempo, come semplice mezzo per togliere ragazzi dalla strada o come occasione fra le tante per dire loro una buona parola.
Se lo sport «è un valore dell'uomo, un luogo di umanità e di civiltà», non vogliamo cedere alla tentazione di pensare che solo un certo tipo di sport educhi: quello non agonistico, quello nella natura, quello senza classifiche, quello senza vincitori né vinti. È una tentazione sottile, comprensibile, ma smentita dal pensiero che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore dei cristiani».

SUPERARE IL FAIR-PLAY

Le espressioni di crisi dello sport di oggi evidenziano che l'azione educativa non può limitarsi a richiamare alla coscienza dei praticanti astratti valori e principi etici: evidentemente né una generica ideologia pansportiva, né un sempre più disatteso fair-play di facciata, possono rivelare all'uomo, attraverso lo sport, il significato e il fine ultimo della propria esistenza.
Con l'attenzione ai valori più alti dell' esistenza umana, lo sport rivela la dimensione essenziale dell'uomo sia come essere "finito" (sconfitta, infortuni, incapacità di altruismo o ad accettare un verdetto negativo) sia come essere "infinito", capace di risorgere in ogni tentativo di superare i propri limiti. Non si tratta in sostanza di aggiungere nuovi contenuti allo sport, ma di evidenziarli e collocarli nella giusta direzione. Non si tratta tanto di condannare o di sfuggire dallo sport di oggi, dalle sue contraddizioni, dalle sue disperate corse verso l'onnipotenza o l'immortalità, dalla sua schiavitù al denaro. L'uomo è competizione, è vittoria e sconfitta, è tensione alla perfezione e abisso di incertezze, e come tale vuole essere accettato, capito, amato. È una sfida ambiziosa quella di "farsi uno", accettando senza riserve, non tanto con lo sport di oggi, quanto piuttosto con chi lo pratica, contribuendo a instillare silenziosamente e con pazienza germi di positivo.

L'AMORE EDUCA

Ma chi sa educare in questo modo? Educare deriva da educere, tirare fuori, una prospettiva che invita più a cavare dall'allievo le verità che ad instillarvele dall'esterno. Si impone la necessità che il maestro sappia trarre da se stesso e dagli altri le verità onde averne un raffronto. Ma chi è in grado di far germogliare le verità che vivono in lui e negli altri?
Come occorre la primavera perché un giardino fiorisca, allo stesso modo si rende necessario un calore - quello, pensiamo, che nasce dall'amore - per far germogliare le verità. Le teorie pedagogiche, comprese quelle sportive, hanno sentito nel tempo l'esigenza di tener conto che esiste una dimensione fondamentale dell'uomo che porta conseguenze decisive per l'educazione e l'apprendimento: la sua naturale socialità. Questo lascia intuire che anche l'educazione vada costruita e raggiunta a corpo, in quell'atteggiamento che ci fa aperti a lasciarci completare dalla conoscenza altrui, tanto più che oggi nessuno può arrivare ad avere una conoscenza che comprenda tutta la realtà.
Probabilmente «non basta un qualunque lavoro in équipe, un mettere assieme tante idee, tante conoscenze, per trovare una sintesi». Realizzando in un'autentica comunione di vita il processo educativo, la formazione potrà risultare piena, totale, capace di impegnare tutto il nostro essere e determinare la nostra vita.
Ci affascina la sfida di conoscere quale progettualità educativa possa venire da persone «che siano loro stesse fuse in unità» in un' atmosfera di calore reciproco, un'unità che per il credente arriva fino a poter sperimentare quanto possano essere vere le parole di Gesù: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro». E per questo: «Non fatevi chiamare maestri, perché uno solo è il vostro maestro». È un'indicazione misteriosa, ma affascinante: chi ha sperimentato l'amore reciproco sa che questo porta la presenza del Maestro, quello con la emme maiuscola, in mezzo alle persone.
Chi crede nei valori dell'uomo, anche senza legarsi a riferimenti religiosi, può condividere e sperimentare quanto un sincero e profondo atteggiamento di fiducia reciproca fra chi educa e chi è educato attraverso lo sport, sia precondizione ad un apprendimento efficace. Quanto è importante, ad esempio: saper perdere tempo per ascoltare le confidenze di un ragazzo che si forma in una disciplina; o dialogare con genitori carichi di aspettative a volte ingiustificate; o far comprendere a un atleta la stima che si nutre per il suo duro lavoro, indipendentemente dai risultati sportivi; o viceversa quanto sia rilevante lasciare con fiducia al tecnico il tempo necessario per coltivare talenti e ottenere risultati; o non coltivare pregiudizi nei confronti del giudice di gara, concedendogli di svolgere senza condizionamenti un ruolo importante di servizio allo sport; o ancora sperimentare quanto divenga concreta la fiducia reciproca nell'arrampicarsi in cordata legati l'un l'altro.
L'amore è per sua natura esperienza concreta e lo sport offre questa opportunità educativa straordinaria: quella di poter verificare, giorno dopo giorno, l'unità esistenziale fra teoria e prassi, fra aspirazioni e imprese, fra obiettivi e risultati reali, fra convinzioni più o meno fondate e imparzialità del cronometro. La messa in pratica, nel processo educativo e sul campo, non solo è mezzo per conoscere la realtà, ma strumento di formazione umana reale ed effettiva. Il lavoro ci dà il senso del reale: ci aiuta ad uscire dai libri e trovare un pensare che sia vita, essere, umanità.

PAOLO CREPAZ

Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp. 340-344

martedì 10 novembre 2009

Educare ed educarsi attraverso lo sport _ parte I


Carissimi lettori e lettrici del Blog Azur, questo mese Vi proponiamo la prima parte di un articolo di Paolo Crepaz che si occupa di un tema di particolare importanza per la crescita dei figli: lo sport. Spesso giochiamo o pratichiamo sport senza considerare l’elevato contenuto educativo e pedagogico in esso contenuto. Una riflessione utile… per i più grandi e i più piccini.

LO SPORT COME ITINERARIO EDUCATIVO

L'educazione può definirsi come l'itinerario che il soggetto educando, individuo, gruppo o comunità che sia, compie con l'aiuto dell' educatore o degli educatori, verso un dover essere, un fine che si ritiene valido per l'uomo e per l'umanità. In questa prospettiva vi possono essere percorsi diversi di questo itinerario, capaci di accompagnare il singolo o un gruppo per un tratto di esistenza o per l'esistenza intera: l'arte, il lavoro, la ricerca, la natura, la malattia e il dolore, l'amicizia e gli affetti e così via. Ciascuno di questi o di altri itinerari educa: così lo sport.
È proprio ad esso che si tende unanimemente a conferire una valenza pedagogica particolare, ritenendolo «componente essenziale della nostra società», capace di trasmettere «tutte le regole fondamentali della vita sociale» e portatore di valori educativi fondamentali quali «tolleranza, spirito di squadra, lealtà».
Forse però ci si dimentica che lo sport non ha affatto accompagnato l'intera storia dell'uomo, visto che per secoli non ve ne è traccia: la caduta della civiltà greca, che portava nel suo sangue l'agonismo atletico, accanto al dibattito acceso anche in campo filosofico, unificati dallo sfondo di culto che era alla base di entrambi, coincise «con il declino dello sport quale attività pubblica tenuta in onore» e i giochi inventati nel Medioevo furono tutto sommato episodi elitari e forme locali. Solo verso la fine del XVIII secolo e l'inizio del successivo il progresso e la civilizzazione portarono a una trasformazione antropologica che puntava, idealmente, a far rinascere il modello ellenico. In realtà la spinta più diretta allo sviluppo dello sport moderno è venuta dalla politica e dall'industria, le due espressioni più caratteristiche della modernità, di cui lo sport, come oggi è inteso, è una conseguenza: senza le pressioni del nazionalismo e del tornaconto economico forse lo sport moderno non sarebbe mai sorto. Espressione dunque della modernità, esso ne esprime indubbiamente anche la controtendenza, in quanto fa affiorare standard di comportamento primordiali, fisici, palesemente arcaici, sprigionando energie elementari. Quando un secolo fa sono apparsi evidenti i primi dubbi sull'assoluta positività dell'evoluzione della civiltà umana, si è verificato un rovesciamento della gerarchia dei valori fissati dalla razionalizzazione con la conseguente ascesa del gioco come forma di compensazione (giocare, perdere tempo, sfuggire alla redditività), come attività deroutinizzante e come valvola di sfogo dell'innato bisogno di affermarsi.
Eppure anche se lo sport sembra risolvere dei problemi, esso stesso non ne è privo, e va coltivando in sé pericolose e incontenibili tendenze che ne inquinano il valore: la quotidianizzazione, l'eccessiva spettacolarizzazione, la violenza, il doping. Oltre al rischio di soggiacere, se non addirittura di contribuire, all'idolatria e alla mercificazione del corpo: il giustificato obiettivo del raggiungimento del benessere fisico, meta possibile grazie allo sport, rischia di porre la buona condizione fisica come fine anziché come strumento per una salute più globale della persona intera.
La chimera dell'eterna giovinezza riduce la forma fisica a mera condizione per fruire delle offerte della società dei consumi. È dunque giustificato considerare lo sport itinerario educativo e, come alcuni affermano, persino itinerario educativo privilegiato?

LO SPORT COME ESPRESSIONE DELLA CORPOREITÀ

È necessario introdurre una premessa che riguarda il concetto di corporeità. Lo sport valorizza il corpo, un aspetto che non significa necessariamente un suo appiattimento materialistico. Esso richiede tuttavia la sua corretta collocazione e perciò il suo retto "uso" ai fini dell'educazione dell'io personale e del noi comunitario. In passato, soprattutto dai cristiani, venne mossa una critica alla corporeità per far fronte a due tendenze filosofiche del tempo: l'isolamento apollineo dello spirito nei confronti del corpo e quello dionisiaco del corpo nei confronti dello spirito. Il corpo non è un oggetto, bensì un soggetto, una persona. «L'uomo non è un frammento di "corporeità", abitato per un momento da una scintilla spirituale. Egli è innanzi tutto spirito, persona unica e libera ed è tramite il corpo che il suo spirito si apre ad un cammino nella materia e nella storia. L'anima non viene ad abitare una casa preesistente, essa si "intesse" la sua "corporeità" a partire dalla materia. Così il corpo umano diventa l'esteriorizzazione dell' anima. Una cosa del tutto diversa da un abito che si indossi».
In questa prospettiva va letta l'emblematica espressione dello sport che è la gestualità. In ogni gesto è la mia relazione con il mondo, il mio modo di vederlo, di sentirlo, la mia eredità, la mia educazione, il mio ambiente, la mia costituzione psicologica. Nella violenza del mio gesto o nella sua delicatezza, nella sua tonalità decisa o incerta c'è tutta la mia biografia, la qualità del mio rapporto con il mondo, il mio modo di offrirmi. Attraversando da parte a parte esistenza e carne, la gestualità crea quell'unità che noi chiamiamo "corpo" che dispone di gesti, ma sono quei gesti che fanno nascere un corpo dall'immobilità della carne.
«La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile con la parola: non a caso i bambini sono educati dai gesti prima che dalle parole, perché queste sono incapaci di dispiegare attorno a sé quel volume, quell' ambiente a più dimensioni, quell'esperienza produttrice di spazio che riconosciamo in ogni gesto».
L'educazione del corpo implica favorire che la corporeità sia in grado di mostrare e di accendere lo spirito. Ma quando lo sport è in grado di accendere lo spirito? Quando è capace di conferire a chi lo pratica padronanza di sé, dei suoi atti, meta questa sempre in divenire, e quando è capace di colorare l'azione dell'atleta di tensione morale, ovvero di lealtà, di generosità, di abnegazione, di solidarietà, di coraggio, di disciplina, di senso di responsabilità, di fair-play, di sano orientamento estetico, di apprezzamento della natura, della vita e dei valori spirituali.

LA VALENZA CREATIVA DELLO SPORT

Ci si può chiedere se lo sport educhi automaticamente, se contribuisca sostanzialmente allo sviluppo integrale della persona quali che siano le modalità con cui si pratichi e gli scopi che si intendano perseguire.
«Come altre attività umane lo sport è poliforme ed ambivalente: è liberazione di energie psicofisiche latenti, ma anche asservimento agli idoli del prestigio e del guadagno; è dono di sé, ma anche occasione di egoismo e di sopraffazione; è luogo di incontro, ma anche di scontro».
La sfida dell'educatore sportivo comincia nel portare a livello di coscienza dei praticanti i valori dello sport, senza occultarne gli aspetti problematici, favorendone l'interazione nella loro vita.
Ciò può avvenire per passaggi successivi. E anzitutto necessario e possibile aiutare gli sportivi a partecipare criticamente agli avvenimenti agonistici, renderli capaci di conoscerne i limiti e gli aspetti positivi, allo scopo di passare da uno sport come fatto impulsivo a uno sport come valore culturale e spirituale. E lo sport diventa fatto culturale quando è capace di rivelare l'uomo a se stesso: la persona dietro al personaggio, il volto sotto la maschera, l'uomo al di là dell' atleta. Questo è possibile tenendo conto che lo sport, anche lo sport, esprime bisogni - amore, libertà, creatività, autonomia, giustizia, felicità e così via - che formano il mistero profondo dell'uomo.
Lo sport è in sostanza ben altro che semplice divertimento o faticoso confronto alla ricerca di una vittoria: è invece un tempo privilegiato di conoscenza di se stessi e degli altri, di convivenza con essi, e anche di apertura a una visione integrale dell'uomo.
Ma non basta tenerne conto: è necessario portare a livello di coscienza lo spessore umano e spirituale e favorirne la realizzazione.
Lo sport infatti non ha solo capacità rivelatrice. Ha una valenza creativa: rende presenti alla coscienza i valori umani e, in certo modo, li ricrea, collocandoli nella sfera esistenziale attraverso esperienze che diventano uno snodo su cui passa il messaggio educativo. Confucio spiegava: «Dimmi e lo dimenticherò; mostrami e potrò ricordarlo; coinvolgimi e capirò». Qualsiasi messaggio, per diventare comprensibile, necessita di espressioni culturali, di linguaggi, di rappresentazioni simboliche, di esperienze soprattutto. E «poche altre attività umane possono vantare una ricchezza di contenuti come quella sportiva: creatività, coraggio, solidarietà; entusiasmo, forza, rispetto delle regole e degli altri, attività sociale, lavoro di gruppo, ricerca di qualità, festa, amicizia, gioia di vivere e così via».

PAOLO CREPAZ

Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp. 335-339

giovedì 22 ottobre 2009

Nurturing - Creating a nurturing environment for your kids


Salve a tutti,
nei giorni scorsi, dopo aver parlanto con un canale televisivo statunitense, che sta realizzando delle trasmissioni sullinfanzia, abbiamo fatto una ricerca su alcuni siti, e precisamente su http://www.ucsfchildcarehealth.org abbiamo trovato un documento che ci è piaciuto e che volentieri pubblichiamo:
10 Consigli per genitori che vogliono creare un ambiente sano e favorevole in famiglia
1. Iniziate subito! Lo sviluppo inizia al concepimento. Mentre il cervello cresce fornisce la base con cui il bambino imparerà a gioire per i primi tre anni della sua vita.
2. Essere positivi, giocosi e dolci con i figli. Le emozioni sono contagiose come "uninfluenza emozionale (Goleman, 2006)". Quello che sentite ed esprimete al vostro bambino attiva energie nel suo cervello che gli fa provare le stesse emozioni. Se vi sentite arrabbiati, disgustati, scoraggiati, il vostro bambino assume quelle emozioni. Se sentite sempre le stesse emozioni negative, il cervello del vostro bambino creerà circuiti e sentieri di emozioni negative che saranno facilmente attivabili nel futuro.
3. Giocate molto con i vostri bambini. Hanno bisogno di un rapporto sicuro con voi. L' attaccamento richiede tempo.
4. Fate attenzione allo sviluppo comportamentale del bambino. Anche i giochi più semplici insegnano lezioni importanti e aiutano a formare il bambino ad essere il tipo di persona che desiderate. Aspettare il proprio turno, condividere giocattoli e ascoltare gli altri sono capacità che preparano i bambini ad essere socievoli con gli altri: abilità di cui avrà bisogno all' asilo infantile. Rispettare i bisogni emozionali del vostro bambino non significa dargliele tutte vinte. Stabilite delle aspettative comportamentali fin dallinizio. Fate rispettare le vostre regole chiaramente, però con delicatezza.
5. Abbracciate, toccate, e baciate il vostro piccolo. Le carezze e il contatto influiscono in maniera importante sullo sviluppo fisico ed emotivo. I bambini che non vengono accarezzati ed abbracciati non crescono bene emozionalmente e fisicamente.
6. Parlate con i vostri figli. Rispondete anche quando farfugliano. Aspettate che vi rispondano e ascoltate. Abbiate una conversazione, anche se non usano ancora le parole.
7. Usate musica, arte, e gioco invece della TV per intrattenere il vostro bambino. Queste attività hanno come risultato cambiamenti positivi nel cervello, che saranno importanti per l' apprendimento e per la capacità di affrontare e risolvere problemi.
8. Proteggete vostro figlio dallo stress, dalla violenza e dai traumi. Il cervello dei piccoli è molto sensibile. L' esposizione prolungata ai traumi o alla violenza causerà danni permanenti al cervello del bambino.
9. Create delle abitudini familiari. Leggete o cantate al vostro bambino ogni giorno, incominciando dalla nascita. Abituate i bambini a prepararsi e ad andare a letto sempre alla stessa ora. Mangiate insieme a tavola con la TV spenta, parlategli delle vostre giornate e di come vi siete sentiti. Cercate di avere un momento "speciale", con il vostro bambino, dopo una giornata di lavoro.
10. Non usate il cibo come mezzo di conforto o intrattenimento col piccolo, impareranno ad usarlo in quel modo. Il cibo è nutrizione, non conforto.

venerdì 16 ottobre 2009

mercoledì 2 settembre 2009

Nasce il Blog Azur

Salve a tutti,
è con grande piacere che vi informiamo della nascita del nostro Blog.
Esso nasce dal desiderio di conoscervi e di starvi vicino in un momento così importante della vostra vita.
Abbiamo deciso di aprirlo all'interno del nostro sito web, ma non sarà un "Blog aziendalista"; nonostante sia tenuto da me, responsabile della comunicazione di Azur, non parlerà dei nostri prodotti, a meno che non siate voi a chiedercelo.
Vorremmo poter condividere con voi le gioie, le paure, le speranze e le difficoltà che normalmente si incontrano nel momento in cui una nuova vita arriva e cresce: un momento in cui dobbiamo preparaci ad accoglierla nel migliore dei modi, per poter godere di tutte le gioie che essa sicuramente porterà con se.
Certamente ognuno di noi ha una propria vita con dinamiche le più diverse: di coppia, di donne madri, di padri separati, con culture, lavori e Paesi di provenienza diversi. Tante diversità, che possono farci sentire unici ed a volte soli, ma anche tante similitudini, che magari non conosciamo e che possono farci sentire "sulla stessa barca".
Per questo, oggi, vi chiediamo di indicarci ciò che vi sta più a cuore, ciò che più coinvolge la vostra sensibilità, così da poterne parlare insieme, tenendo presente che le nostre competenze si basano soprattutto sull'esperienza di vita.
Io, personalmente, sono marito e padre (ho una ragazza di 10 anni e un bambino di 5), e tutti i giorni vivo e lavoro con donne, uomini e famiglie dalla cultura e dalla provenienza le più diverse.
Coraggio, non fatevi troppi problemi, ogni idea sarà ben accetta, non vediamo l'ora di iniziare a conoscervi !
Grazie per tutto quanto vorrete farci sapere.