In questo articolo abbiamo preso spunto da una
risposta di Ezio Aceti pubblicata su Città Nuova che risponde a due
genitori di Viterbo che hanno da poco adottato un bambino.
Da un mese abbiamo adottato Manuel, un bellissimo
bambino di 15 mesi. Ci poniamo alcune domande: avendolo adottato così
piccolino, è giusto dirglielo? In che modo? E poi, essendo scuro di
carnagione, come si inserirà con gli altri? E poi, riusciremo a
rispettare le sue inclinazioni naturali?.
Ezio Aceti così Risponde... "E poi, e poi...
Quante domande ci poniamo come genitori! Il timore di sbagliare ci
accompagna sempre. Forse, ciò sta a indicare una verità
fondamentale, ossia che i figli (naturali o adottati) non sono nostri
e non ci appartengono, ma ci sono affidati e proprio per questo
dobbiamo averne la massima cura. Però, stiamo sereni perché se
amiamo e le nostre intenzioni sono rivolte al bene tollerando anche
gli eventuali nostri errori, allora possiamo essere sicuri che tutto
andrà per il meglio. Vi ringrazio delle vostre domande perché mi
danno la possibilità di parlare un po' dell'adozione. Essa è una
realtà bellissima ed importante che testimonia il valore della
famiglia come contesto vitale per ciascun bambino. Ciò che è
importante per voi è quello di essere una vera famiglia, in grado di
comprendere i bisogni e le necessità del figlio: la famiglia
perfetta non esiste (penso che sarebbe anche un po' noiosa!). Esiste
la famiglia umana, con la sua storia e le sue risorse. E allora cosa
dire, cosa fare? Anche se i compiti di tutte le famiglie sono gli
stessi, le adozioni non sono tutte uguali. Si possono adottare
neonati, bambini piccoli in età prescolare (come il caso del nostro
piccolo Manuel), bambini già in età scolare o addirittura
adolescenti; bambini italiani, europei, di altri continenti con
culture e tradizioni diverse. Inoltre, è opportuno tener conto che i
genitori biologici possono essere morti o viventi, si possono
contattare oppure no. Infine, bisogna avere presente che i bambini
possono ricordarsi dei loro primi genitori ed anche dei loro primi
anni di vita, oppure non avere alcun ricordo. Nonostante ogni realtà
sia diversa, ciò che importa è come il bambino riesca ad accettare
e ad integrare nella sua vita l'adozione, considerandola come un
evento coerente della sua storia. Proprio per questo motivo, bisogna
sempre dire al bambino la verità. Certo le parole da usare debbono
essere semplici e rispettose del suo livello emotivo e affettivo e
soprattutto, dopo aver detto al bambino la verità possibile (non è
sempre necessario comunicare tutti i particolari), non bisogna mai
fare domande dirette per verificare se ha capito. Sarà il bambino
stesso a chiedere ciò che gli serve. E se non chiede, significa che
va bene così, che quanto è stato detto è sufficiente. Generalmente
occorre comunicare subito al bambino che è stato adottato e, per
bambini così piccoli come Manuel, ciò sarà per lui un'informazione
che riceve insieme a tante altre. Man mano che crescerà incomincerà
a rendersi conto del colore della sua pelle e porrà domande
specifiche, alle quali occorrerà rispondere con verità e
semplicità. L'importante è la serenità degli adulti: Se si è
tranquilli nel rivelare la verità e nel rispondere alle domande che
inevitabilmente seguiranno, ciò si trasmetterà al bambino, che
accetterà la sua condizione come un dato di fatto, una realtà fra
le tante altre della vita.
A proposito delle parole da dire, la psicologa infantile Anna Oliverio Ferraris scrive: La scelta delle parole è significativa. Se, per esempio stiamo parlando della madre biologica, è meglio evitare di indicarla come la tua vera mamma perché questo può indurre a pensare che i genitori adottivi non sono dei veri genitori. Con i più grandicelli si può dire la prima mamma. Con i più piccoli la mamma-pancia o qualcosa del genere. Leggere o raccontare una storiella simpatica su un bimbo o una bimba adottata è una strategia efficace per introdurre il racconto della adozione. (Anna Oliverio Ferraris, Le parole dei bambini, Rizzoli)".