Carissimi lettori e lettrici del Blog Azur, questo
mese Vi proponiamo la prima parte di un articolo di Paolo Crepaz che
si occupa di un tema di particolare importanza per la crescita dei
figli: lo sport. Spesso giochiamo o pratichiamo sport senza
considerare l’elevato contenuto educativo e pedagogico in esso
contenuto. Una riflessione utile… per i più grandi e i più
piccini.
LO SPORT COME ITINERARIO EDUCATIVO
L'educazione può definirsi come l'itinerario che
il soggetto educando, individuo, gruppo o comunità che sia, compie
con l'aiuto dell' educatore o degli educatori, verso un dover essere,
un fine che si ritiene valido per l'uomo e per l'umanità. In questa
prospettiva vi possono essere percorsi diversi di questo itinerario,
capaci di accompagnare il singolo o un gruppo per un tratto di
esistenza o per l'esistenza intera: l'arte, il lavoro, la ricerca, la
natura, la malattia e il dolore, l'amicizia e gli affetti e così
via. Ciascuno di questi o di altri itinerari educa: così lo sport.
È proprio ad esso che si tende unanimemente a
conferire una valenza pedagogica particolare, ritenendolo «componente
essenziale della nostra società», capace di trasmettere «tutte le
regole fondamentali della vita sociale» e portatore di valori
educativi fondamentali quali «tolleranza, spirito di squadra,
lealtà».
Forse però ci si dimentica che lo sport non ha
affatto accompagnato l'intera storia dell'uomo, visto che per secoli
non ve ne è traccia: la caduta della civiltà greca, che portava nel
suo sangue l'agonismo atletico, accanto al dibattito acceso anche in
campo filosofico, unificati dallo sfondo di culto che era alla base
di entrambi, coincise «con il declino dello sport quale attività
pubblica tenuta in onore» e i giochi inventati nel Medioevo furono
tutto sommato episodi elitari e forme locali. Solo verso la fine del
XVIII secolo e l'inizio del successivo il progresso e la
civilizzazione portarono a una trasformazione antropologica che
puntava, idealmente, a far rinascere il modello ellenico. In realtà
la spinta più diretta allo sviluppo dello sport moderno è venuta
dalla politica e dall'industria, le due espressioni più
caratteristiche della modernità, di cui lo sport, come oggi è
inteso, è una conseguenza: senza le pressioni del nazionalismo e del
tornaconto economico forse lo sport moderno non sarebbe mai sorto.
Espressione dunque della modernità, esso ne esprime indubbiamente
anche la controtendenza, in quanto fa affiorare standard di
comportamento primordiali, fisici, palesemente arcaici, sprigionando
energie elementari. Quando un secolo fa sono apparsi evidenti i primi
dubbi sull'assoluta positività dell'evoluzione della civiltà umana,
si è verificato un rovesciamento della gerarchia dei valori fissati
dalla razionalizzazione con la conseguente ascesa del gioco come
forma di compensazione (giocare, perdere tempo, sfuggire alla
redditività), come attività deroutinizzante e come valvola di sfogo
dell'innato bisogno di affermarsi.
Eppure anche se lo sport sembra risolvere dei
problemi, esso stesso non ne è privo, e va coltivando in sé
pericolose e incontenibili tendenze che ne inquinano il valore: la
quotidianizzazione, l'eccessiva spettacolarizzazione, la violenza, il
doping. Oltre al rischio di soggiacere, se non addirittura di
contribuire, all'idolatria e alla mercificazione del corpo: il
giustificato obiettivo del raggiungimento del benessere fisico, meta
possibile grazie allo sport, rischia di porre la buona condizione
fisica come fine anziché come strumento per una salute più globale
della persona intera.
La chimera dell'eterna giovinezza riduce la forma
fisica a mera condizione per fruire delle offerte della società dei
consumi. È dunque giustificato considerare lo sport itinerario
educativo e, come alcuni affermano, persino itinerario educativo
privilegiato?
LO SPORT COME ESPRESSIONE DELLA CORPOREITÀ
È necessario introdurre una premessa che riguarda
il concetto di corporeità. Lo sport valorizza il corpo, un aspetto
che non significa necessariamente un suo appiattimento
materialistico. Esso richiede tuttavia la sua corretta collocazione e
perciò il suo retto "uso" ai fini dell'educazione dell'io
personale e del noi comunitario. In passato, soprattutto dai
cristiani, venne mossa una critica alla corporeità per far fronte a
due tendenze filosofiche del tempo: l'isolamento apollineo dello
spirito nei confronti del corpo e quello dionisiaco del corpo nei
confronti dello spirito. Il corpo non è un oggetto, bensì un
soggetto, una persona. «L'uomo non è un frammento di "corporeità",
abitato per un momento da una scintilla spirituale. Egli è innanzi
tutto spirito, persona unica e libera ed è tramite il corpo che il
suo spirito si apre ad un cammino nella materia e nella storia.
L'anima non viene ad abitare una casa preesistente, essa si "intesse"
la sua "corporeità" a partire dalla materia. Così il
corpo umano diventa l'esteriorizzazione dell' anima. Una cosa del
tutto diversa da un abito che si indossi».
In questa prospettiva va letta l'emblematica
espressione dello sport che è la gestualità. In ogni gesto è la
mia relazione con il mondo, il mio modo di vederlo, di sentirlo, la
mia eredità, la mia educazione, il mio ambiente, la mia costituzione
psicologica. Nella violenza del mio gesto o nella sua delicatezza,
nella sua tonalità decisa o incerta c'è tutta la mia biografia, la
qualità del mio rapporto con il mondo, il mio modo di offrirmi.
Attraversando da parte a parte esistenza e carne, la gestualità crea
quell'unità che noi chiamiamo "corpo" che dispone di
gesti, ma sono quei gesti che fanno nascere un corpo dall'immobilità
della carne.
«La gestualità non è una rappresentazione, ma è
la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile con la parola: non
a caso i bambini sono educati dai gesti prima che dalle parole,
perché queste sono incapaci di dispiegare attorno a sé quel volume,
quell' ambiente a più dimensioni, quell'esperienza produttrice di
spazio che riconosciamo in ogni gesto».
L'educazione del corpo implica favorire che la
corporeità sia in grado di mostrare e di accendere lo spirito. Ma
quando lo sport è in grado di accendere lo spirito? Quando è capace
di conferire a chi lo pratica padronanza di sé, dei suoi atti, meta
questa sempre in divenire, e quando è capace di colorare l'azione
dell'atleta di tensione morale, ovvero di lealtà, di generosità, di
abnegazione, di solidarietà, di coraggio, di disciplina, di senso di
responsabilità, di fair-play, di sano orientamento estetico, di
apprezzamento della natura, della vita e dei valori spirituali.
LA VALENZA CREATIVA DELLO SPORT
Ci si può chiedere se lo sport educhi
automaticamente, se contribuisca sostanzialmente allo sviluppo
integrale della persona quali che siano le modalità con cui si
pratichi e gli scopi che si intendano perseguire.
«Come altre attività umane lo sport è poliforme
ed ambivalente: è liberazione di energie psicofisiche latenti, ma
anche asservimento agli idoli del prestigio e del guadagno; è dono
di sé, ma anche occasione di egoismo e di sopraffazione; è luogo di
incontro, ma anche di scontro».
La sfida dell'educatore sportivo comincia nel
portare a livello di coscienza dei praticanti i valori dello sport,
senza occultarne gli aspetti problematici, favorendone l'interazione
nella loro vita.
Ciò può avvenire per passaggi successivi. E
anzitutto necessario e possibile aiutare gli sportivi a partecipare
criticamente agli avvenimenti agonistici, renderli capaci di
conoscerne i limiti e gli aspetti positivi, allo scopo di passare da
uno sport come fatto impulsivo a uno sport come valore culturale e
spirituale. E lo sport diventa fatto culturale quando è capace di
rivelare l'uomo a se stesso: la persona dietro al personaggio, il
volto sotto la maschera, l'uomo al di là dell' atleta. Questo è
possibile tenendo conto che lo sport, anche lo sport, esprime bisogni
- amore, libertà, creatività, autonomia, giustizia, felicità e
così via - che formano il mistero profondo dell'uomo.
Lo sport è in sostanza ben altro che semplice
divertimento o faticoso confronto alla ricerca di una vittoria: è
invece un tempo privilegiato di conoscenza di se stessi e degli
altri, di convivenza con essi, e anche di apertura a una visione
integrale dell'uomo.
Ma non basta tenerne conto: è necessario portare
a livello di coscienza lo spessore umano e spirituale e favorirne la
realizzazione.
Lo sport infatti non ha solo capacità
rivelatrice. Ha una valenza creativa: rende presenti alla coscienza i
valori umani e, in certo modo, li ricrea, collocandoli nella sfera
esistenziale attraverso esperienze che diventano uno snodo su cui
passa il messaggio educativo. Confucio spiegava: «Dimmi e lo
dimenticherò; mostrami e potrò ricordarlo; coinvolgimi e capirò».
Qualsiasi messaggio, per diventare comprensibile, necessita di
espressioni culturali, di linguaggi, di rappresentazioni simboliche,
di esperienze soprattutto. E «poche altre attività umane possono
vantare una ricchezza di contenuti come quella sportiva: creatività,
coraggio, solidarietà; entusiasmo, forza, rispetto delle regole e
degli altri, attività sociale, lavoro di gruppo, ricerca di qualità,
festa, amicizia, gioia di vivere e così via».
PAOLO CREPAZ
Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp.
335-339