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martedì 10 novembre 2009

Educare ed educarsi attraverso lo sport _ parte I


Carissimi lettori e lettrici del Blog Azur, questo mese Vi proponiamo la prima parte di un articolo di Paolo Crepaz che si occupa di un tema di particolare importanza per la crescita dei figli: lo sport. Spesso giochiamo o pratichiamo sport senza considerare l’elevato contenuto educativo e pedagogico in esso contenuto. Una riflessione utile… per i più grandi e i più piccini.

LO SPORT COME ITINERARIO EDUCATIVO

L'educazione può definirsi come l'itinerario che il soggetto educando, individuo, gruppo o comunità che sia, compie con l'aiuto dell' educatore o degli educatori, verso un dover essere, un fine che si ritiene valido per l'uomo e per l'umanità. In questa prospettiva vi possono essere percorsi diversi di questo itinerario, capaci di accompagnare il singolo o un gruppo per un tratto di esistenza o per l'esistenza intera: l'arte, il lavoro, la ricerca, la natura, la malattia e il dolore, l'amicizia e gli affetti e così via. Ciascuno di questi o di altri itinerari educa: così lo sport.
È proprio ad esso che si tende unanimemente a conferire una valenza pedagogica particolare, ritenendolo «componente essenziale della nostra società», capace di trasmettere «tutte le regole fondamentali della vita sociale» e portatore di valori educativi fondamentali quali «tolleranza, spirito di squadra, lealtà».
Forse però ci si dimentica che lo sport non ha affatto accompagnato l'intera storia dell'uomo, visto che per secoli non ve ne è traccia: la caduta della civiltà greca, che portava nel suo sangue l'agonismo atletico, accanto al dibattito acceso anche in campo filosofico, unificati dallo sfondo di culto che era alla base di entrambi, coincise «con il declino dello sport quale attività pubblica tenuta in onore» e i giochi inventati nel Medioevo furono tutto sommato episodi elitari e forme locali. Solo verso la fine del XVIII secolo e l'inizio del successivo il progresso e la civilizzazione portarono a una trasformazione antropologica che puntava, idealmente, a far rinascere il modello ellenico. In realtà la spinta più diretta allo sviluppo dello sport moderno è venuta dalla politica e dall'industria, le due espressioni più caratteristiche della modernità, di cui lo sport, come oggi è inteso, è una conseguenza: senza le pressioni del nazionalismo e del tornaconto economico forse lo sport moderno non sarebbe mai sorto. Espressione dunque della modernità, esso ne esprime indubbiamente anche la controtendenza, in quanto fa affiorare standard di comportamento primordiali, fisici, palesemente arcaici, sprigionando energie elementari. Quando un secolo fa sono apparsi evidenti i primi dubbi sull'assoluta positività dell'evoluzione della civiltà umana, si è verificato un rovesciamento della gerarchia dei valori fissati dalla razionalizzazione con la conseguente ascesa del gioco come forma di compensazione (giocare, perdere tempo, sfuggire alla redditività), come attività deroutinizzante e come valvola di sfogo dell'innato bisogno di affermarsi.
Eppure anche se lo sport sembra risolvere dei problemi, esso stesso non ne è privo, e va coltivando in sé pericolose e incontenibili tendenze che ne inquinano il valore: la quotidianizzazione, l'eccessiva spettacolarizzazione, la violenza, il doping. Oltre al rischio di soggiacere, se non addirittura di contribuire, all'idolatria e alla mercificazione del corpo: il giustificato obiettivo del raggiungimento del benessere fisico, meta possibile grazie allo sport, rischia di porre la buona condizione fisica come fine anziché come strumento per una salute più globale della persona intera.
La chimera dell'eterna giovinezza riduce la forma fisica a mera condizione per fruire delle offerte della società dei consumi. È dunque giustificato considerare lo sport itinerario educativo e, come alcuni affermano, persino itinerario educativo privilegiato?

LO SPORT COME ESPRESSIONE DELLA CORPOREITÀ

È necessario introdurre una premessa che riguarda il concetto di corporeità. Lo sport valorizza il corpo, un aspetto che non significa necessariamente un suo appiattimento materialistico. Esso richiede tuttavia la sua corretta collocazione e perciò il suo retto "uso" ai fini dell'educazione dell'io personale e del noi comunitario. In passato, soprattutto dai cristiani, venne mossa una critica alla corporeità per far fronte a due tendenze filosofiche del tempo: l'isolamento apollineo dello spirito nei confronti del corpo e quello dionisiaco del corpo nei confronti dello spirito. Il corpo non è un oggetto, bensì un soggetto, una persona. «L'uomo non è un frammento di "corporeità", abitato per un momento da una scintilla spirituale. Egli è innanzi tutto spirito, persona unica e libera ed è tramite il corpo che il suo spirito si apre ad un cammino nella materia e nella storia. L'anima non viene ad abitare una casa preesistente, essa si "intesse" la sua "corporeità" a partire dalla materia. Così il corpo umano diventa l'esteriorizzazione dell' anima. Una cosa del tutto diversa da un abito che si indossi».
In questa prospettiva va letta l'emblematica espressione dello sport che è la gestualità. In ogni gesto è la mia relazione con il mondo, il mio modo di vederlo, di sentirlo, la mia eredità, la mia educazione, il mio ambiente, la mia costituzione psicologica. Nella violenza del mio gesto o nella sua delicatezza, nella sua tonalità decisa o incerta c'è tutta la mia biografia, la qualità del mio rapporto con il mondo, il mio modo di offrirmi. Attraversando da parte a parte esistenza e carne, la gestualità crea quell'unità che noi chiamiamo "corpo" che dispone di gesti, ma sono quei gesti che fanno nascere un corpo dall'immobilità della carne.
«La gestualità non è una rappresentazione, ma è la vita stessa in ciò che ha di irrappresentabile con la parola: non a caso i bambini sono educati dai gesti prima che dalle parole, perché queste sono incapaci di dispiegare attorno a sé quel volume, quell' ambiente a più dimensioni, quell'esperienza produttrice di spazio che riconosciamo in ogni gesto».
L'educazione del corpo implica favorire che la corporeità sia in grado di mostrare e di accendere lo spirito. Ma quando lo sport è in grado di accendere lo spirito? Quando è capace di conferire a chi lo pratica padronanza di sé, dei suoi atti, meta questa sempre in divenire, e quando è capace di colorare l'azione dell'atleta di tensione morale, ovvero di lealtà, di generosità, di abnegazione, di solidarietà, di coraggio, di disciplina, di senso di responsabilità, di fair-play, di sano orientamento estetico, di apprezzamento della natura, della vita e dei valori spirituali.

LA VALENZA CREATIVA DELLO SPORT

Ci si può chiedere se lo sport educhi automaticamente, se contribuisca sostanzialmente allo sviluppo integrale della persona quali che siano le modalità con cui si pratichi e gli scopi che si intendano perseguire.
«Come altre attività umane lo sport è poliforme ed ambivalente: è liberazione di energie psicofisiche latenti, ma anche asservimento agli idoli del prestigio e del guadagno; è dono di sé, ma anche occasione di egoismo e di sopraffazione; è luogo di incontro, ma anche di scontro».
La sfida dell'educatore sportivo comincia nel portare a livello di coscienza dei praticanti i valori dello sport, senza occultarne gli aspetti problematici, favorendone l'interazione nella loro vita.
Ciò può avvenire per passaggi successivi. E anzitutto necessario e possibile aiutare gli sportivi a partecipare criticamente agli avvenimenti agonistici, renderli capaci di conoscerne i limiti e gli aspetti positivi, allo scopo di passare da uno sport come fatto impulsivo a uno sport come valore culturale e spirituale. E lo sport diventa fatto culturale quando è capace di rivelare l'uomo a se stesso: la persona dietro al personaggio, il volto sotto la maschera, l'uomo al di là dell' atleta. Questo è possibile tenendo conto che lo sport, anche lo sport, esprime bisogni - amore, libertà, creatività, autonomia, giustizia, felicità e così via - che formano il mistero profondo dell'uomo.
Lo sport è in sostanza ben altro che semplice divertimento o faticoso confronto alla ricerca di una vittoria: è invece un tempo privilegiato di conoscenza di se stessi e degli altri, di convivenza con essi, e anche di apertura a una visione integrale dell'uomo.
Ma non basta tenerne conto: è necessario portare a livello di coscienza lo spessore umano e spirituale e favorirne la realizzazione.
Lo sport infatti non ha solo capacità rivelatrice. Ha una valenza creativa: rende presenti alla coscienza i valori umani e, in certo modo, li ricrea, collocandoli nella sfera esistenziale attraverso esperienze che diventano uno snodo su cui passa il messaggio educativo. Confucio spiegava: «Dimmi e lo dimenticherò; mostrami e potrò ricordarlo; coinvolgimi e capirò». Qualsiasi messaggio, per diventare comprensibile, necessita di espressioni culturali, di linguaggi, di rappresentazioni simboliche, di esperienze soprattutto. E «poche altre attività umane possono vantare una ricchezza di contenuti come quella sportiva: creatività, coraggio, solidarietà; entusiasmo, forza, rispetto delle regole e degli altri, attività sociale, lavoro di gruppo, ricerca di qualità, festa, amicizia, gioia di vivere e così via».

PAOLO CREPAZ

Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp. 335-339