Carissimi lettori, Vi proponiamo la terza e ultima
parte dell’articolo di Paolo Crepaz, la cui trattazione è iniziata
due mesi fa. Per chi educa a fare sport e per gli atleti una
riflessione viene proposta dall’autore e che troverà una
risposta: “i limiti, gli ostacoli, i fallimenti, gli
infortuni, le delusioni, le sconfitte sono materia prima dello sport:
dall'atteggiamento verso di essi dipende il nostro crescere
attraverso di esso. Fuggire, rifiutarli, negarli o affrontarli,
superarli, amarli?”
IL RUOLO EDUCATIVO DI UN PADRE
Chi ha, per così dire, scoperto in Dio un Padre,
e un Padre che lo ama, sa di poter essere nel proprio viaggio alla
sequela di un originale educatore, che prende l'iniziativa nei suoi
confronti, che lo accompagna, lo rinnova, lo rigenera, lungo un
ricchissimo itinerario di formazione personale e comunitaria, con
quella intenzionalità che guida il vero educatore. È stato proprio
sulla constatazione che siamo figli dello stesso Padre che si è
fondata l'idea forte di Comenius, primo grande teorizzatore della
pedagogia moderna, che diceva: bisogna «insegnare tutto a tutti».
Questa riscoperta della più grande paternità è
una risorsa importante rispetto a una certa cultura che tenta di
affermare, sul piano teorico e su quello pratico, che Dio è morto.
Si tratta di «un' eclissi del Padre che ha favorito anche un'eclissi
di padre, una perdita di autorevolezza sul piano dei rapporti umani
ed educativi, un relativismo morale, un'assenza di regole nella vita
individuale, nelle relazioni interpersonali e sociali», spesso con
conseguenze gravi come forme di violenza, anche nello sport.
Dostoevskij affermava: «Se Dio non c'è, allora tutto è permesso».
Il vero educatore, compreso quello sportivo, che riconosce l'uomo
nella sua unità irripetibile, che esalta l'uomo, è per questo anche
esigente: chiede ed educa alla responsabilità, all'impegno. Sapendo
che l'educatore più grande dell'uomo è quel Dio Amore che lo ha
amato fin a dare la vita per lui.
È nel dare la vita che si rivela l'identità di
un padre: quante volte però abbiamo potuto sperimentare che persone
semplici, come sono i bambini o i ragazzi, con cui spesso ci troviamo
a operare, costituiscono la miglior cassa di risonanza. Da loro,
spesso, l'educatore viene educato e scopre con stupore di essere
divenuto loro figlio.
LA GRADUALITÀ E LA PIENEZZA
A questo primo cardine pedagogico se ne può
legare un altro, sottolineato ancora dallo stesso Comenius: la regola
pedagogica della gradualità. Sappiamo quanto essa sia fondamentale
nell'allenamento fisico e sportivo, quanto sia fondamentale vivere il
presente momento per momento, ma con consapevole pienezza,
comprendere il significato della tappa educativa del giorno, ma con
l'orizzonte all'infinito, stazionare nel particolare, mirando al
tutto senza angoscia. Dall'originale impegno a vivere il momento
presente, uno alla volta, in forma di Parola da tradurre in parole,
di esistenza da coniugare in attimi di vita, scoprendo che in ciascun
attimo vi è tutta la vita, viene l'indicazione a valorizzare quanto
stiamo vivendo senza curarci di un passato che non è più, né di un
futuro che non dipende solo da noi. Sappiamo come camminando verso la
cima di una montagna non si guardi continuamente ad essa, lontana e
faticosa da raggiungere, ma ci si muova passo dopo passo.
Sappiamo con quanta pazienza sia da coltivare il
talento sportivo nelle persone più giovani, quanto occorra avere
prudenza nella specializzazione precoce, non solo per non bruciare
doti specifiche, ma per far maturare la persona prima ancora che il
talento atletico.
Sappiamo quanto sia impegnativo far comprendere il
legame fra la ripetizione all'infinito di un singolo gesto e
1'armonia di un insieme di movimenti: in questo gioco di già e non
ancora vive il mistero e il fascino dell' espressione corporea.
VERSO UN'ETICITÀ AUTONOMA
Di norma nell'educazione della persona, dalla
necessaria fase iniziale di dipendenza si passa gradualmente alla
moralità autonoma. Anche nello sport l'adesione a una volontà altra
(sia essa espressa dall'educatore o dalle circostanze) porta a una
percezione di libertà per 1'avvenuta interiorizzazione della legge
stessa. Chi ha fatto 1'esperienza diretta che esiste una Parola di
Dio che parla alla nostra vita ha iniziato a scoprire la trama di una
volontà precisa e non indefinita sulla nostra esistenza: ovvero che
1'educatore ha un progetto.
Il viaggio alla scoperta che esiste una volontà
di Dio su di noi, una volontà d'amore, ci può aiutare a perdere, e
a far perdere a coloro che educhiamo, quella negativa volontà
personale che così facilmente ci lega alle anguste modalità
esistenziali dell'io autocentrato. Potremmo così avviarci a un
autotrascendimento, a un oltrepassamento verso il Tu che ci
arricchisce e ci libera. La scoperta dell'altro, anche nello sport,
aiuta a considerarlo avversario ma non nemico, a riconoscerne i
meriti, a complimentarsi con lui, persino a gioire delle sue
vittorie, a rendersi conto quanto senza il confronto con lui i miei
talenti possano risultare sterili e inespressi, fino a ricevere da
lui il dono di scoprire, nel confronto, di possedere qualità
sconosciute.
Così le sfide etiche dello sport di oggi, il
doping prima di altre, devono essere certamente affrontate sul piano
della repressione, ma la via dell'educazione a una cultura della
sconfitta, a un saper perdere per saper vincere, può dare successo
alla prevenzione oggi così tanto evocata.
LE DIFFICOLTÀ COME PEDANE DI LANCIO
I limiti, gli ostacoli, i fallimenti, gli
infortuni, le delusioni, le sconfitte sono materia prima dello sport:
dall'atteggiamento verso di essi dipende il nostro crescere
attraverso di esso. Fuggire, rifiutarli, negarli o affrontarli,
superarli, amarli? L'idea chiave di un' educazione capace di portare
davvero un aiuto, qualcosa di nuovo e di utile per affrontare la
crisi dello sport spettacolo, business, che ammette solo vittorie,
viene dalla comprensione del mistero del limite.
Cosa può venire da un Gesù che grida
l'abbandono? Ci indica il limite senza limiti della nostra azione
pedagogica, fino a quale punto e con quale intensità essa debba
muoversi. Gesù abbandonato è figura dell'ignorante: chiede
«perché?». La sua è l'ignoranza più tragica, la sua domanda la
più drammatica. È l'emblema di ogni figura che ha bisogno di
educazione: il disadattato, il trascurato, il non amato, lo
sconfitto. È paradigma di chi, carente di tutto, ha bisogno di
tutto: è «l'idea limite, il parametro dell' educando, che postula
tutta la responsabilità dell' educatore». Gesù però ha superato
il suo infinito dolore insegnandoci a vedere difficoltà, ostacoli,
prove, errori, sconfitte come realtà da affrontare, superare, amare.
Di fatto tentiamo con ogni mezzo di evitare tali
esperienze. «Anche in campo educativo - in tanti modi - viene
spontaneo . tendere a forme di iperprotettività, a preservare specie
i più piccoli da qualsiasi difficoltà, abituandoli a vedere la vita
come una strada in discesa, facile e comoda». In realtà, in questo
modo, li si lascia in forte disagio di fronte alle inevitabili prove
della vita, comprese le sconfitte sportive, rendendoli passivi o
renitenti di fronte a se stessi, al prossimo, alla società. Convinti
che ogni difficoltà vada affrontata e persino amata, possiamo
tentare di fare della difficoltà una pedana di lancio. «L'educazione
al difficile, come impegno che coinvolge sia l'educando che
l'educatore» è un altro punto cardine di una nuova pedagogia, anche
nello sport.
UNA PEDAGOGIA SPORTIVA DI COMUNITÀ
De Coubertin, padre delle moderne Olimpiadi,
attribuiva all'atletismo la capacità di introdurre tre caratteri
nuovi e vitali nelle vicende del mondo: democrazia, internazionalità,
pacifismo.
Mentre la storia sportiva moderna cerca con
difficoltà di aprire gli orizzonti all'incontro fra i popoli e alla
pace, viene da chiedersi se l'unità della famiglia umana sia
un'utopia lontana.
Uno sguardo attento scorge che il nostro pianeta,
pur fra mille contraddizioni, tende all'unità, segno e bisogno dei
tempi. Sembra un progetto utopico, ma l'educazione, in tale
prospettiva, è mezzo primario. Quando crediamo alla dimensione
relazione dell'uomo e investiamo con larghezza sulle ricchezze
dell'altro, la meta pare più accessibile: per l'amore scambievole
sperimentiamo una socialità più autentica, una dinamica di
relazione in cui sembra attuarsi una sintesi meravigliosa tra
l'istanza pedagogica dell' educazione dell'individuo e l'istanza
pedagogica della costruzione della comunità. Una prospettiva di
questo tipo trova diverse consonanze con le forme di pedagogia di
comunità di recente sviluppo, in cui viene proclamata la necessità
di coniugare la promozione dell'individuo con la promozione della
comunità. Ma non è solo questo. «La finalità da sempre assegnata
all'educazione (formare l'uomo, la sua autonomia) si esplica, quasi
paradossalmente, nel formare l'uomo-relazione»: la prassi spirituale
ed educativa dell' amore reciproco è la via maestra alla costruzione
dell'utopia-realtà dell'unità.
E lo sport è affidabile ed esigente campo di
sperimentazione della nostra reale capacità e volontà di relazione.
«La prima caratteristica dello spirito olimpionico antico come di
quello moderno è quella di essere una religione» affermava De
Coubertin. Lo sport non può divenire la nuova religione planetaria
che unirà il mondo, ma esso può rivelare e ricreare risorse forse
insostituibili per la costruzione di un mondo unito.
PAOLO CREPAZ
Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp.
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