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sabato 16 gennaio 2010

Educare ed educarsi attraverso lo sport _ parte III


Carissimi lettori, Vi proponiamo la terza e ultima parte dell’articolo di Paolo Crepaz, la cui trattazione è iniziata due mesi fa. Per chi educa a fare sport e per gli atleti una riflessione viene proposta dall’autore e che troverà una risposta: “i limiti, gli ostacoli, i fallimenti, gli infortuni, le delusioni, le sconfitte sono materia prima dello sport: dall'atteggiamento verso di essi dipende il nostro crescere attraverso di esso. Fuggire, rifiutarli, negarli o affrontarli, superarli, amarli?”

IL RUOLO EDUCATIVO DI UN PADRE

Chi ha, per così dire, scoperto in Dio un Padre, e un Padre che lo ama, sa di poter essere nel proprio viaggio alla sequela di un originale educatore, che prende l'iniziativa nei suoi confronti, che lo accompagna, lo rinnova, lo rigenera, lungo un ricchissimo itinerario di formazione personale e comunitaria, con quella intenzionalità che guida il vero educatore. È stato proprio sulla constatazione che siamo figli dello stesso Padre che si è fondata l'idea forte di Comenius, primo grande teorizzatore della pedagogia moderna, che diceva: bisogna «insegnare tutto a tutti».
Questa riscoperta della più grande paternità è una risorsa importante rispetto a una certa cultura che tenta di affermare, sul piano teorico e su quello pratico, che Dio è morto. Si tratta di «un' eclissi del Padre che ha favorito anche un'eclissi di padre, una perdita di autorevolezza sul piano dei rapporti umani ed educativi, un relativismo morale, un'assenza di regole nella vita individuale, nelle relazioni interpersonali e sociali», spesso con conseguenze gravi come forme di violenza, anche nello sport. Dostoevskij affermava: «Se Dio non c'è, allora tutto è permesso». Il vero educatore, compreso quello sportivo, che riconosce l'uomo nella sua unità irripetibile, che esalta l'uomo, è per questo anche esigente: chiede ed educa alla responsabilità, all'impegno. Sapendo che l'educatore più grande dell'uomo è quel Dio Amore che lo ha amato fin a dare la vita per lui.
È nel dare la vita che si rivela l'identità di un padre: quante volte però abbiamo potuto sperimentare che persone semplici, come sono i bambini o i ragazzi, con cui spesso ci troviamo a operare, costituiscono la miglior cassa di risonanza. Da loro, spesso, l'educatore viene educato e scopre con stupore di essere divenuto loro figlio.

LA GRADUALITÀ E LA PIENEZZA

A questo primo cardine pedagogico se ne può legare un altro, sottolineato ancora dallo stesso Comenius: la regola pedagogica della gradualità. Sappiamo quanto essa sia fondamentale nell'allenamento fisico e sportivo, quanto sia fondamentale vivere il presente momento per momento, ma con consapevole pienezza, comprendere il significato della tappa educativa del giorno, ma con l'orizzonte all'infinito, stazionare nel particolare, mirando al tutto senza angoscia. Dall'originale impegno a vivere il momento presente, uno alla volta, in forma di Parola da tradurre in parole, di esistenza da coniugare in attimi di vita, scoprendo che in ciascun attimo vi è tutta la vita, viene l'indicazione a valorizzare quanto stiamo vivendo senza curarci di un passato che non è più, né di un futuro che non dipende solo da noi. Sappiamo come camminando verso la cima di una montagna non si guardi continuamente ad essa, lontana e faticosa da raggiungere, ma ci si muova passo dopo passo.
Sappiamo con quanta pazienza sia da coltivare il talento sportivo nelle persone più giovani, quanto occorra avere prudenza nella specializzazione precoce, non solo per non bruciare doti specifiche, ma per far maturare la persona prima ancora che il talento atletico.
Sappiamo quanto sia impegnativo far comprendere il legame fra la ripetizione all'infinito di un singolo gesto e 1'armonia di un insieme di movimenti: in questo gioco di già e non ancora vive il mistero e il fascino dell' espressione corporea.

VERSO UN'ETICITÀ AUTONOMA

Di norma nell'educazione della persona, dalla necessaria fase iniziale di dipendenza si passa gradualmente alla moralità autonoma. Anche nello sport l'adesione a una volontà altra (sia essa espressa dall'educatore o dalle circostanze) porta a una percezione di libertà per 1'avvenuta interiorizzazione della legge stessa. Chi ha fatto 1'esperienza diretta che esiste una Parola di Dio che parla alla nostra vita ha iniziato a scoprire la trama di una volontà precisa e non indefinita sulla nostra esistenza: ovvero che 1'educatore ha un progetto.
Il viaggio alla scoperta che esiste una volontà di Dio su di noi, una volontà d'amore, ci può aiutare a perdere, e a far perdere a coloro che educhiamo, quella negativa volontà personale che così facilmente ci lega alle anguste modalità esistenziali dell'io autocentrato. Potremmo così avviarci a un autotrascendimento, a un oltrepassamento verso il Tu che ci arricchisce e ci libera. La scoperta dell'altro, anche nello sport, aiuta a considerarlo avversario ma non nemico, a riconoscerne i meriti, a complimentarsi con lui, persino a gioire delle sue vittorie, a rendersi conto quanto senza il confronto con lui i miei talenti possano risultare sterili e inespressi, fino a ricevere da lui il dono di scoprire, nel confronto, di possedere qualità sconosciute.
Così le sfide etiche dello sport di oggi, il doping prima di altre, devono essere certamente affrontate sul piano della repressione, ma la via dell'educazione a una cultura della sconfitta, a un saper perdere per saper vincere, può dare successo alla prevenzione oggi così tanto evocata.

LE DIFFICOLTÀ COME PEDANE DI LANCIO

I limiti, gli ostacoli, i fallimenti, gli infortuni, le delusioni, le sconfitte sono materia prima dello sport: dall'atteggiamento verso di essi dipende il nostro crescere attraverso di esso. Fuggire, rifiutarli, negarli o affrontarli, superarli, amarli? L'idea chiave di un' educazione capace di portare davvero un aiuto, qualcosa di nuovo e di utile per affrontare la crisi dello sport spettacolo, business, che ammette solo vittorie, viene dalla comprensione del mistero del limite.
Cosa può venire da un Gesù che grida l'abbandono? Ci indica il limite senza limiti della nostra azione pedagogica, fino a quale punto e con quale intensità essa debba muoversi. Gesù abbandonato è figura dell'ignorante: chiede «perché?». La sua è l'ignoranza più tragica, la sua domanda la più drammatica. È l'emblema di ogni figura che ha bisogno di educazione: il disadattato, il trascurato, il non amato, lo sconfitto. È paradigma di chi, carente di tutto, ha bisogno di tutto: è «l'idea limite, il parametro dell' educando, che postula tutta la responsabilità dell' educatore». Gesù però ha superato il suo infinito dolore insegnandoci a vedere difficoltà, ostacoli, prove, errori, sconfitte come realtà da affrontare, superare, amare.
Di fatto tentiamo con ogni mezzo di evitare tali esperienze. «Anche in campo educativo - in tanti modi - viene spontaneo . tendere a forme di iperprotettività, a preservare specie i più piccoli da qualsiasi difficoltà, abituandoli a vedere la vita come una strada in discesa, facile e comoda». In realtà, in questo modo, li si lascia in forte disagio di fronte alle inevitabili prove della vita, comprese le sconfitte sportive, rendendoli passivi o renitenti di fronte a se stessi, al prossimo, alla società. Convinti che ogni difficoltà vada affrontata e persino amata, possiamo tentare di fare della difficoltà una pedana di lancio. «L'educazione al difficile, come impegno che coinvolge sia l'educando che l'educatore» è un altro punto cardine di una nuova pedagogia, anche nello sport.

UNA PEDAGOGIA SPORTIVA DI COMUNITÀ

De Coubertin, padre delle moderne Olimpiadi, attribuiva all'atletismo la capacità di introdurre tre caratteri nuovi e vitali nelle vicende del mondo: democrazia, internazionalità, pacifismo.
Mentre la storia sportiva moderna cerca con difficoltà di aprire gli orizzonti all'incontro fra i popoli e alla pace, viene da chiedersi se l'unità della famiglia umana sia un'utopia lontana.
Uno sguardo attento scorge che il nostro pianeta, pur fra mille contraddizioni, tende all'unità, segno e bisogno dei tempi. Sembra un progetto utopico, ma l'educazione, in tale prospettiva, è mezzo primario. Quando crediamo alla dimensione relazione dell'uomo e investiamo con larghezza sulle ricchezze dell'altro, la meta pare più accessibile: per l'amore scambievole sperimentiamo una socialità più autentica, una dinamica di relazione in cui sembra attuarsi una sintesi meravigliosa tra l'istanza pedagogica dell' educazione dell'individuo e l'istanza pedagogica della costruzione della comunità. Una prospettiva di questo tipo trova diverse consonanze con le forme di pedagogia di comunità di recente sviluppo, in cui viene proclamata la necessità di coniugare la promozione dell'individuo con la promozione della comunità. Ma non è solo questo. «La finalità da sempre assegnata all'educazione (formare l'uomo, la sua autonomia) si esplica, quasi paradossalmente, nel formare l'uomo-relazione»: la prassi spirituale ed educativa dell' amore reciproco è la via maestra alla costruzione dell'utopia-realtà dell'unità.
E lo sport è affidabile ed esigente campo di sperimentazione della nostra reale capacità e volontà di relazione. «La prima caratteristica dello spirito olimpionico antico come di quello moderno è quella di essere una religione» affermava De Coubertin. Lo sport non può divenire la nuova religione planetaria che unirà il mondo, ma esso può rivelare e ricreare risorse forse insostituibili per la costruzione di un mondo unito.

PAOLO CREPAZ

Tratto da Nuova Umanità XXVII (2005/2) 158, pp. 344-349