Ognuno di noi, volente o nolente, si è dovuto confrontare con il
sistema sanitario e più in particolare con i medici ed il loro gergo
tecnico - il "medichese" - che
spesso pone una barriera tra medico e paziente, una mancata
comprensione e un senso di inferiorità da parte di chi pur avendo
bisogno della figura professionale non deve sentirsi in deficit. Ma
la comunicazione non è esclusivamente linguaggio parlato. La
prossemica, gli sguardi spesso mal direzionati, i gesti e le
abitudini (quali la fretta e la scarsa pazienza) condizionano
notevolmente i rapporti e quindi il modo in cui viene affrontata una
situazione più o meno difficile. Un sorriso e una battuta di
spirito, sempre nel rispetto dell’individuo, sono stimolo e forza
per vivere meglio un problema di salute.
Nel saggio Il linguaggio della salute, a cura di
Alessandro Lucchini,Barbara Todisco analizza i
diritti dei bambini in ospedale a partire dalla storia del piccolo
Tommaso alle prese con la fame…
Ho ancora in mente la
faccia del piccolo Tommaso, poco più di tre anni, che in ospedale si
oppone al digiuno imposto cantando a squarciagola sulle note di Fra’
Martino: «Un panino, un panino… din don dan… datemi un panino,
solo un panino din don dan». E a ogni camice bianco che passa
chiede: «Dottore, almeno un panino me lo deve dare!»
Il dottore lo guarda. Si legge sul suo viso che
non sa come spiegare. Così si rivolge alla mamma: «Signora non
possiamo dare niente fino a questa sera, mi dispiace».
E lì, da quel deve, ho iniziato a pensare e a
guardarmi intorno: le culle fredde e opprimenti con quelle sponde di
alluminio, un Bambi ormai azzoppato degli anni Settanta sulla parete,
piccole stanze con quattro lettini dove convivono quattro bambini e
otto apprensivi genitori, una ludoteca grande quanto un francobollo
con cento colori, di cui novantanove senza punta e nemmeno un
temperamatite, e sei nani di plastica orfani di Cucciolo.
A tre anni, anche se
non ne è consapevole, Tommaso usa un deve che dà voce ai suoi
diritti e ci fa comprendere l’importanza di dargliene conto. Il
ricovero di un bambino in ospedale è sempre un momento delicato per
la famiglia, che vive nell’ansia, ma soprattutto è una difficile,
dolorosa e spesso inaspettata esperienza per il bambino, che viene
strappato dalla vita serena di tutti i giorni. In questo contesto è
fondamentale comunicare direttamente con lui, spiegargli le
motivazioni e renderlo conscio dei suoi diritti, affinché possa
collaborare alle cure e al processo di guarigione.
Una risposta concreta a questa esigenza la dà il Meyer,
l’ospedale pediatrico di Firenze, che fin dal sito web
dimostra un’attenzione rara alla comunicazione con i bambini.
Entrate nella home page www.meyer.it e andate nella sezione
dedicata ai piccoli, la «presa della pastiglia». Qui i bambini
vengono accolti da due originali personaggi che li accompagnano a
zonzo per l’ospedale: Bruno lo Zozzo, un bambino che ama poco
l’acqua, e il suo fido compagno il Maialino Giovanni. Bruno lo
Zozzo è un bambino vero in cui tutti i bambini possono
identificarsi: non ama lavarsi, ha sempre qualche macchia sul
vestito, gli piace giocare, combina guai e ogni tanto si fa male.
Testimonial ideale,
perché con la sua personalità consente un’immediata
identificazione con i bambini. È lui che insegna i loro diritti.
Noi bambini abbiamo in nostri diritti anche in
Ospedale! L’ho scoperto quando mi sono rotto la gamba e adesso ve
li racconto!!
E via con l’elenco:
• il diritto di
tornare prima possibile a saltare nelle pozze di fango (godere del
massimo grado di salute, ricevere il miglior livello di cura e
assistenza);
• il diritto di rimanere Bruno lo Zozzo anche
con la gamba ingessata (rispetto delle propria identità, sia
culturale sia personale e religiosa);
• il diritto di
sapere perché mi fa male la gamba e cosa dovrò fare per guarire
(essere informato sulle proprie condizioni di salute, con un
linguaggio comprensibile e adeguato; essere coinvolto
nell’espressione dell’assenso/dissenso alle pratiche sanitarie);
• il diritto, quando è possibile, di scegliere
tra una supposta e una puntura (esprimere liberamente la propria
opinione su ogni questione che lo interessa, usufruire di un rapporto
riservato paziente-medico, chiedere e ricevere informazioni);
• il diritto di piangere se mi fa male la gamba
e di arrabbiarmi se sono stufo di stare a letto (manifestare il
proprio disagio e la propria sofferenza, essere sottoposto agli
interventi meno invasivi e dolorosi);
• il diritto di
sentirmi a casa mia anche all’ospedale (tutela del proprio sviluppo
fisico, psichico e relazionale; vita di relazione anche nei casi di
isolamento; non essere trattato con mezzi di contenzione; rispetto
della propria privacy). Per
finire con una domanda: «E voi, quali diritti vorreste al Meyer?».
E le relative
risposte di alcuni piccoli pazienti: «Il diritto di dormire fino a
tardi, non tenere i cateteri per tanti giorni, giocare a carte,
disegnare, far ridere, far piangere, vedere la televisione, mangiare
bene e cose buone, stare con la mamma e papà anche la notte…».
Anche una tematica così complessa, dunque, si può spiegare a un
bambino. I diritti di Bruno lo Zozzo sono semplici, chiari,
comprensibili e soprattutto, cosa non comune, sono spiegati con le
parole e i modi di un bambino. Con un’attenzione in più: l’uso
di un linguaggio sincero, che crea vicinanza e relazione. Aspetto
fondamentale, perché il rapporto positivo e costruttivo aiuta il
processo di guarigione dei piccoli, aiuta a sperare e aiuta a vivere
meglio una condizione difficile.